NZZ: Né Israele né i palestinesi sono pronti per la pace
Il cessate il fuoco a Gaza e il rilascio degli ostaggi sono un trionfo della diplomazia, ma il caporedattore della NZZ Eric Gujer mette in guardia da un ottimismo ingannevole nel suo commento.
Dopo due anni di guerra, sulle rovine di Gaza regna il silenzio. Ma la vera battaglia, scrive Eric Gujer, sta iniziando ora: la battaglia per la sovranità dell’interpretazione. Il massacro del 7 ottobre e la successiva guerra di Gaza sono “la cesura più profonda nella storia ebraico-palestinese da decenni”.
Per Israele, questo giorno rappresenta la rinascita dell’Olocausto nella memoria collettiva. “Mai più”: quella che in Germania è diventata una formula vuota, per Israele rimane una “vera ragione di stato”. Ci vorrà del tempo prima che i cittadini vedano il loro Paese come una casa sicura. Hamas ha scatenato la “Nakba ebraica”, un trauma che ha segnato intere generazioni.
Gujer mette in guardia dall’invertire causa ed effetto: “I massacri sono la causa, la guerra è la conseguenza”. Chiunque lo neghi o interpreti la violenza di Hamas come “autodifesa contro l’apartheid” si rende “complice della barbarie”. Soprattutto in Europa e in alcune parti della sinistra, l’autore vede questa inversione morale ben avanzata.
Hamas ha tempo e colpirà ancora
Il caporedattore della NZZ descrive la guerra di Gaza come una guerra fratricida tra Caino e Abele – non come un classico conflitto tra Stati, ma come un “atavico conflitto interno” in cui si rivela il vecchio Medio Oriente. Mentre Israele ha raggiunto i suoi obiettivi in Iran e in Libano con attacchi limitati, Gaza è “impantanata in un’operazione senza strategia e autocontrollo”.
Secondo Gujer, Hamas ha accettato il piano di pace di Trump solo perché ha “perso tutto il sostegno” dopo due anni di guerra. Ma il movimento colpirà ancora: “I Fratelli Musulmani sono fanatici pragmatici. Sanno come aspettare e vedere”. Un cessate il fuoco servirebbe solo a guadagnare tempo. Gli islamisti non si lasceranno disarmare, “perché credono di fare l’opera di Dio”.
Gujer ritiene inoltre che Israele non abbia raggiunto il suo obiettivo, ma che si trovi in una fase di respiro. Il governo di Netanyahu aveva spinto per la restituzione degli ostaggi, ma aveva accettato un rischio per la sicurezza. Tra i prigionieri rilasciati ci sono “quadri esperti che rafforzano i ranghi assottigliati di Hamas”.
Per fare i conti con la propria “Nakba”, Israele deve affrontare la menzogna della sua vita: I muri di sicurezza hanno impedito gli attacchi, ma hanno anche soppresso la consapevolezza dell’esistenza dei palestinesi “Lontano dagli occhi, lontano dalla mente”, scrive Gujer, la recinzione ha creato un’illusione: La pace senza la questione palestinese.
Spostati a destra e blocca
Nel frattempo, il movimento dei coloni ha conquistato il centro politico di Israele. “Con loro non ci sono compromessi né una soluzione a due Stati”. Il risultato è un governo che “gira intorno a se stesso” e non riesce più a trovare una linea strategica.
A livello internazionale, Gujer diagnostica un devastante doppio standard: la guerra in Sudan non commuove nessuno in Europa, ma la guerra israeliana è accompagnata da un’indignazione senza precedenti – espressione di un “nuovo odio per gli ebrei, elegantemente mascherato da critica a Israele”.
Nel frattempo, i regimi arabi hanno congelato le loro relazioni con Israele, mentre Trump ha paradossalmente posto il Qatar – un tempo patrono degli islamisti – sotto protezione personale. Il risultato: una dinamica che sta portando anche Israele a essere “invaso dagli eventi”.
Alla fine, Gujer giunge a una conclusione sconfortante: né Israele né i palestinesi sono pronti per una vera pace. Israele fa troppo affidamento sulla sua superiorità militare – “quando hai un martello, tutti i problemi sembrano chiodi” – mentre i palestinesi rimangono intrappolati nel fatalismo religioso. Israele continua a fare affidamento sulla forza militare, anche se, come scrive Gujer, “la forza da sola non crea la pace”. “Fonte: NZZ del 17 ottobre (paywall)
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